E’ evidente che la divisione soggetto-oggetto, tipica della cultura filosofica occidentale moderna (vedi Cartesio) è la condizione di possibilità del dominio, anche se non saprei dire se sia anche finalizzata al dominio (ossia: non so dire se gli occidentali volessero prima il dominio e QUINDI – in senso causale – hanno immaginato un mondo del tutto oggettivato, oppure hanno prima immaginato il mondo oggettivato e QUINDI – in senso temporale – hanno capito che potevano dominarlo.)
In ogni caso pensavano (e speravano) che modificare una res extensa del tutto estranea alla coscienza non avrebbe portato alcun cambiamento alla coscienza stessa. Come avrebbe potuto, dal loro punto di vista? Res cogitans e res extensa sono pensati sin dall’inizio come termini contradditori, che non hanno nulla in comune per definizione.
Ma le cose non stavano (e non stanno) così. La coscienza in quanto apertura all’altro lo comprende, lasciandolo sussistere nella sua alterità: e cambiare l’altro (ossia: l’oggetto) implica perciò anche cambiare la coscienza (sia a livello individuale sia a livello collettivo, sociale e politico – in senso ampio).
Questa è la ragione, per esempio, del fatto psicologico per il quale ci sentiamo meglio in una camera ordinata; ovvero che possiamo anche sentirci a nostro agio in una camera disordinata, ma a condizione che il disordine sia l’espressione del nostro Sè, e che venga sostenuto e sorretto da una “energia intenzionale” che faccia esistere il disordine della camera come espressione del nostro Sè (energia per la quale, per esempio, si dice che “una persona disordinata nel suo disordine trova sempre tutto”: appunto perché la camera “esiste per lui” in un modo che è generato dalla sua coscienza che ne è una sorta di morfè aristostelica). Per l’altra persona che entra nella medesima stanza tutto ciò non vale, ed essa percepisce solo l’oppressione del caos e della mancanza di unità (per lei) delle cose accatastate alla rinfusa.
Mettere ordine nella stanza allora è anche un mettere ordine dentro di sè: e questo spiega perché hanno così successo i manualetti sul decluttering. Io costantemente oggettivo me stesso nel mondo-ambiente che mi circonda, imprimendogli per quanto possibile la mia forma: ed esso mi rispecchia e mi corrisponde, rimandando una immagine che io leggo e nella quale mi decodifico. Se altero consapevolmente tale mondo-ambiente, posso condizionare anche la coscienza che io ho di me, e quindi il mio stesso modo di esistere, stante che io SONO coscienza come apertura al mondo e non una res cogitans indipendente dal mondo stesso.
Lo stesso discorso vale, su scala più grande, anche per la società, che in forma collettiva plasma se stessa plasmando il mondo-ambiente di ciò che chiamiamo Natura. Le pagine di Braudel sulla campagna antropizzata attorno a Siena sono una traccia preziosa (naturalmente Braudel non svolgeva il discorso sul piano che sto seguendo io ora). La natura (campi, boschi, filari, canali, prati, strade, foreste, pascoli, stagni, laghi) assume la forma che la società come essere collettivo imprime su di essa; e la società si rispecchia in questa natura organizzata, che funziona come una sorta di “inconscio collettivo”. Tutti istintivamente “stanno bene” in Toscana, quando passeggiano sulle colline della val d’Orcia o guardano il paesaggio attorno a Monteriggioni o attraversano i dolci rilievi del Chianti. Senza sapere perché si sentono a casa e se possono vi si trasferiscono (il fenomeno dei vip della star system che acquistano un podere da quelle parti è ben noto)
Ovviamente questo vale anche per la società capitalista di oggi, che però imprime sulla natura una forma che fa orrore: inquinamento, distruzione della biodiversità, riscaldamento climatico. Ci rispecchiamo in questa distruzione sistematica del mondo-ambiente senza accettare il fatto che essa sia come l’oggettivazione del “lato oscuro” dell’uomo, ossia della sua “volontà di potenza” fine a se stessa e senza il sostegno di uno sguardo unitario